Lago di Piediluco

Alla scoperta del Lago di Piediluco tra natura, luoghi sacri e presenze oscure

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È singolare che le due più belle cascate d’Europa siano artificiali, quella del Velino e quella di Tivoli. Raccomando subito al viaggiatore di seguire il Velino sino al piccolo lago di Piediluco. (George Byron)

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Foto per gentile concessione di Pro Loco Piediluco

Tra i morbidi rilievi della parte meridionale dell’Umbria si adagia un lago ricco di storia e fascino misterico: il Lago di Piediluco.
Si tratta di un bacino dalla particolare forma allungata, che lo rende molto simile a laghi alpini e fa sì che uno dei suoi bracci si estenda nel territorio posto sotto l’amministrazione della Regione Lazio; si trova a 370 metri s.l.m. e raggiunge una profondità di circa 20 metri in corrispondenza dell’abitato omonimo.
Si tratta di un lago naturale che ha ben tre immissari – due dei quali di carattere artificiale – creati per affrontare le crescenti esigenze di energia elettrica delle industrie ternane durante il boom produttivo degli anni Venti e Trenta.

Le grandi opere dei Romani

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Foto per gentile concessione di Pro Loco Piediluco

In realtà la zona era stata oggetto di bonifiche e interventi migliorativi già in tempi più antichi. La Conca Reatina era infatti occupata interamente dal Lacus Velinus, nato dallo sbarramento calcareo creatosi nella zona di confluenza tra il fiume Velino e il Nera. Tuttavia il Lacus Velinus, nel corso dei secoli, fu soggetto a innalzamenti e arretramenti che portarono alla formazione di ampie zone paludose, rendendolo focolaio di tutta una serie di malattie strettamente collegate alla presenza di acqua stagnante –prima fra tutte, la malaria.    
Perciò, nel 271 a.C., il console Manio Curio Dentato fece scavare un canale lungo due chilometri dal braccio occidentale del lago alla scarpata di Marmore. La Cava Curiana tagliava così lo sbarramento calcareo, consentendo finalmente al Velino di gettarsi nel Nera attraverso un salto artificiale. Fu così che nacque la celeberrima Cascata che si getta nel Nera, meta del Settecentesco Grand Tour.
Il viaggio in Italia, obbligato per cultori dell’arte e delle vestigia storiche, ha fatto sì che molti intellettuali sostassero in quest’area ricca d’acqua dolce e, in particolare, che passeggiassero sulle sponde del cosiddetto mare di Terni, affascinati dalle bellezze paesaggistiche e dalle viuzze del borgo che, ancora oggi, si inerpicano fin sulla cima dei monti circostanti. Camille Corot ne fu rapito a tal punto da trovarvi la misura della propria pittura: nel suo Lago di Piediluco, scelse di rappresentare proprio le sponde lacustri ai piedi del monte Luco, eternandole. Lo stesso effetto fecero a Goethe e, prima ancora, a Virgilio, che le canta nella sua opera magna, l’Eneide.

quadri di camille corot

Il Lago di Piediluco, Camille Corot

Un altro romano illustre, tale Marco Tullio Cicerone, due secoli dopo la creazione della Cava Curiana ci parla della zona del Lago di Piediluco perché fonte di contenzioso tra i reatini e gli abitanti di Interamnia (Terni), per la regolazione del flusso d’acqua che scendeva verso la valle del Nera. Se infatti i reatini potevano beneficiare di una portata d’acqua maggiore per coltivare più terreni, lo stesso non potevano dire i ternani, che invece vedevano i propri insediamenti puntualmente allagati dall’acqua. Cicerone era stato convocato proprio dai reatini e riuscì ad avere la meglio su Ortensio, ingaggiato dai ternani, facendo sì che lo stato delle cose rimanesse esattamente com’era.

 

Luoghi sacri e presenze oscure

Ma ciò che è più interessante, è che Cicerone paragonando la valle a Tempe, in Tessaglia, offre una mitopoiesi che non tutti i luoghi possono vantare. Come Tempe era affiorata dalle acque grazie all’intervento di Poseidone, le terre emerse del bacino di Piediluco erano divenute visibili e vivibili grazie alla bonifica delle acque operata dall’ingegno romano. Proprio su quei dolci declivi sembra che sia sorto il lucus, ovvero il bosco sacro dei Romani, abitato da ninfee, numi e satiri. Un luogo in cui la presenza del genius loci era molto forte e non sempre di natura benevola, tanto che gli uomini sentivano al necessità di rendere omaggio a queste divinità dal temperamento volubile.
Sembra che in corrispondenza dei laghi residuali del Velino – Piediluco, Ventina, Lungo, Ripasottile – ci fosse una foresta sacra dedicata alla dea Vacuna, il cui culto monoteista era diffuso tra i popoli sabini per la fertilità e l’abbondanza della terra. Per una fetta degli studiosi, invece, la divinità e i suoi poteri erano strettamente legati alla presenza del lago: qui l’etimologia ci viene in aiuto, in quanto Vacuna sembra avere un’assonanza con Lacuna, direttamente derivata da lacus. Lacuna sarebbe quindi la dea del lago. Questo culto decadde con la romanizzazione dei territori, dal momento che fu sostituito dal culto di Diana, dea della caccia, e di Velinia, una divinità legata alle acque.
Con l’andare del tempo, però, l’estensione del bosco sacro fu ridotta al punto che solo una parte di esso, recintata, era de facto il luogo sacro: tuttavia era chiamato ancora lucus o incus. Con il cristianesimo, in seguito, il bosco perse

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Foto per gentile concessione di Pro Loco Piediluco

ogni sacralità a causa del volto pagano di tali forme di venerazione; tuttavia luoghi dediti al culto, come il tempio dedicato a Nettuno posto sulla costa nord-occidentale del lago, si trasformano e diventano i luoghi della nuova religione. La scomparsa chiesa di San Nicola, il cui ricordo permane solo nella toponomastica del Ramo lacustre di San Nicolò, testimonia come l’attenzione per la peculiarità del luogo fosse ancora intatta: San Nicola è infatti il protettore delle acque e dei naviganti.
Con il succedersi delle epoche e delle genti, il lago di Piediluco acquista nuove caratteristiche. L’atmosfera di quiete che vi si respira e che attualmente offre ai canottieri l’ambiente ideale per i loro allenamenti, in passato era vista come sintomo della presenza di creature ostili. Secondo una delle leggende più sinistre, la fissità delle acque del lago ricorda quella degli occhi dei rettili e, in particolar modo, quelli di un drago. La presenza di questa creatura mitologica era visibile anche nella peculiarità del luogo, reso insalubre dal suo fiato mefitico.

 

L’affascinante bellezza dei boschi

Oggi, il ricordo di questa terra malsana sembra ormai svanito. Il lago di Piediluco si presenta come un luogo ameno in cui immergersi: ci troviamo a 370 metri s.l.m., altitudine adatta a fare lunghe passeggiate tra i boschi, oppure per andare in bici. Le cosiddette piramidi del lago –il Monte Luco e il Monte Caperno- offrono lo scenario ideale per gli amanti degli sport all’aperto e a contatto con la natura. Il Monte Luco, detto anche Piramide della Rocca, è sovrastato dalla Rocca di Albornoz ed era parte di un sistema di fortezze atte a riconquistare il territorio di proprietà della Chiesa.

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Rocca di Piediluco, foto per gentile concessione di Pro Loco Piediluco

Il Monte Caperno, invece, è detto anche Piramide dell’Eco ed è protagonista di uno dei fenomeni più curiosi del lago di Piediluco: sembra infatti che, prima del rimboschimento dei monti, fosse possibile udire l’eco di frasi lunghe ben due endecasillabi! Immaginate che effetto possano aver fatto queste voci fantasma agli sventurati che si fossero trovati a vagare nei cupi boschi che ammantano il bacino. Non è un caso che fenomeni del genere abbiano alimentato ulteriori leggende, in particolar modo quelle secondo cui i due monti altro non siano che due piramidi artificiali, antichissime, usate per la depurazione delle acque. Alcuni ritengono addirittura che ci sia, in generale, una connessione tra la presenza di acqua e le antiche costruzioni umane come le piramidi del sito di Giza, in Egitto, o quelle mesoamericane.
Ma questa è un’altra storia. Per ora il visitatore dovrà accontentarsi della vegetazione mediterranea che ammanta le piramidi, oppure di passeggiare nell’enorme parco di Villalago, l’elegante villa del XIX voluta da Eugenio Franchetti fornita di un teatro all’aperto capace di ospitare fino a seicento persone. Le prime edizioni di Umbria Jazz si sono tenute proprio qui, ma, ancor prima, il regista Luchino Visconti ha voluto girarvi alcune scene del suo La Caduta degli Dei –come a dire che nessuno può rimanere immune alla bellezza di questo luogo incastonato nella parte sud dell’Umbria.

Terra e Lago

Per gli amanti della buona cucina, nei periodi giusti è possibile raccogliere funghi e erbe spontanee, da abbinare alle specialità tipiche della cucina umbra, fatta non solo di tuberi pregiati, insaccati e focacce tipiche, ma anche del pesce di lago. La tradizione culinaria dei piedilucani si innesta proprio su questa commistione tra sapori della terra e quelli delle acque dolci: il Grechetto, un vino giallo paglierino dall’aroma fruttato, viene spesso servito per accompagnare i carbonaretti (persico reale bruciacchiato) o il coregone alla griglia.
Non è difficile immaginare i pellegrini che, risalendo da Roma lungo la via Francigena, si fermavano in questo bacino per assaporare il pescato della giornata o per visitare la chiesa dedicata a San Francesco, costruita alla fine del 1200 per commemorare il soggiorno del Santo nel 1217.

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Chiesa di San Francesco, foto per gentile concessione di Pro Loco Piediluco

Ad abbracciare il visitatore dopo la ripida scalinata di pietra, è presente un portale che riporta scene e oggetti legati all’attività della pesca, teso a ricordare il nesso inscindibile tra il paese e il lago, fonte di ricchezza e sostentamento. Non si sta parlando solo di pesca, anche se le acque di

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Vie di Piediluco, foto per gentile concessione di Pro Loco Piediluco

Piediluco sono classificate come principali e abbondano di specie ittiche quali il luccio, l’anguilla, il persico reale, la trota, il coregone, la carpa e la tinca. Si parla anche della produzione di imbarcazioni per la pesca stessa, che negli ultimi anni si sono arricchite anche di costruzioni allegoriche in occasione della celebrazione della Festa delle Acque, e della costruzione dei cesti di vimini, creati dalla lavorazione dei giunchi che crescono sulle sponde del lago stesso.
Una produzione artigianale altamente specializzata che ha antichi natali, come dimostra il ritrovamento del cosiddetto Ripostiglio di Piediluco, un deposito di oggetti – asce, spade, coltelli, morsi equini, falci, scalpelli ruote di carretto, frammenti di un tripode di origine cipriota– risalente alla fine della terza Età del Bronzo e l’inizio di quella del Ferro e contenuto all’interno di un grande dolio di terracotta, probabilmente creato collettivamente per eventi o ricorrenze importanti.
La lavorazione del ferro si ritrova, elevata ad arte, nelle sette sculture che addobbano il lungolago di Piediluco. Opera dello scultore Giulio Turcato, inneggiano alla libertà e si innalzano verso il cielo per un’altezza di nove metri. Lo scultore mantovano scelse proprio il lago umbro, luogo dello spirito e dell’anima, per esprimere la «volontà di uscire dai veti e dai tabù che incatenano alle obbedienze diurne e ai conformismi che pullulano intorno a noi e dentro di noi, alle abitudini della nostra esistenza corporale societaria».
Le Libertà sorvegliano lo specchio in cui ogni anno si tiene la regata internazionale in memoria dell’ex presidente della Federazione Italiana Canottaggio Paolo d’Aloja, primo a scorgere le potenzialità di questo lago. Decine di squadre internazionali ogni anno si sfidano sulle placide acque del lago, che è diventato un punto di riferimento per gli amanti di questo sport, professionisti e non.
Non è forse lo sport un modo di assaporare la libertà?

 


Laureata in Lettere Moderne e in Informazione, Editoria e Giornalismo, è appassionata di letteratura contemporanea, scrittura, fumetto e nuovi media. Collabora come editor per diverse case editrici romane e come articolista per testate online.